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Scienza, miti e mascherine: intervista ad un virologo impegnato nella ricerca su COVID-19

Scienza, miti e mascherine: intervista ad un virologo impegnato nella ricerca su COVID-19

Mentre il mondo impazientemente attende un vaccino per SARS-CoV-2, gli scienziati studiano la malattia da COVID-19 ed il virus che lo causa. Il Dottor Roberto Cattaneo, virologo presso la Mayo Clinic, USA, ha dedicato del tempo per parlare con noi della sua ricerca su SARS-CoV-2.

Dr. Roberto Cattaneo, virologist at the Mayo Clinic, USA

Ci racconti qualcosa di lei.

Originario di Lugano (Svizzera), ho studiato a Ginevra e ad Heidelberg, prima di lavorare a Zurigo e a Yale. Ho avviato il mio gruppo di virologia in Svizzera prima di trasferirmi alla Mayo Clinic, dove sono da più di 20 anni.

Questo mostra quanto i giovani scienziati siano spinti a muoversi. Venerdì ho avuto una riunione di laboratorio via Zoom con tre ricercatori che si uniranno al laboratorio, uno in Brasile, uno in Germania e il terzo in India. Una riunione di laboratorio in quattro continenti e quattro fusi orari! All’inizio della carriera è necessario spostarsi molto, e poi, quando apri un laboratorio, rimani in un posto e le persone vengono da te.

Cosa fa nel suo tempo libero?

Quando ero a Zurigo facevo orienteering, che consiste nel correre nella foresta con una mappa e una bussola. Qui in Minnesota faccio principalmente sci di fondo in inverno e vado in bici in estate. Siamo vicini al Canada e l’inverno è freddo e soleggiato. Quindi, se non c’è troppo vento, siamo all’aperto.

Perché si é trasferito alla Mayo Clinic?

La clinica aveva una visione, non solo di studiare i virus come patogeni, ma di usare i virus per curare il cancro. Questo a mio avviso era molto interessante perché mi avrebbe permesso, mi ha permesso, di continuare la mia ricerca di base sui virus ma anche di sviluppare virus geneticamente modificati per curare il cancro. Questo fondamentalmente riassume quello che facciamo. Prendiamo pezzi di virus e li modifichiamo, quindi scambiamo il nuovo pezzo con quello vecchio nel genoma virale. Quindi infettiamo gli animali con questi virus geneticamente modificati per capire come causano la malattia. Sviluppiamo anche virus geneticamente modificati che prendono di mira alcuni tipi di cancro e li testiamo su modelli animali. Alcuni di questi nuovi virus passano agli studi clinici sugli esseri umani.

E c’è un virus in particolare che usa come riferimento?

Il virus del morbillo. Ognuno ha la sua specialità, e noi siamo piuttosto esperti della biologia del virus del morbillo e possiamo prevedere cosa cambierà quando modifichiamo il virus in un certo modo. Questo viene testato sperimentalmente.

Potrebbe descrivere il suo laboratorio?

Ci sono da sei a dieci persone nel laboratorio; metà ricercatori post-dottorato, e alcuni tecnici e studenti. Il laboratorio è più o meno come quelli nei film. Ci sono banconi con sopra centrifughe e apparati gel. Le persone indossano occhiali protettivi, camici bianchi e guanti.

Qualcosa che facilita davvero il nostro lavoro è creare virus che trasportano una proteina fluorescente che possiamo usare per seguire la diffusione del virus nelle cellule, sia nella piastra petri che in un animale. Possiamo infettare un furetto con un virus canino simile al morbillo e studiare dove si replica il virus. Siamo in grado di imparare molto grazie a questo processo; diventa possobile trovare un ago in un pagliaio perché l’ago si illumina.

Il suo laboratorio è focalizzato principalmente sul morbillo, mentre ora lavora su SARS-CoV-2. Come è stata la transizione?

Il laboratorio è stato ridistribuito su SARS-CoV-2 all’inizio di quest’anno, ma ora siamo tornati al 50-50, quindi metà delle nostre attività sono di nuovo sul morbillo. A gennaio ho avuto un piccolo momento di Deja vu: nel 2003, quando è apparso all’orizzonte il primo virus della “sindrome respiratoria acuta grave” (SARS), le persone in laboratorio erano eccitate e abbiamo prodotto anticorpi contro quel virus. Ma quando questi reagenti erano pronti, il virus era praticamente sotto controllo. A gennaio, mi chiedevo davvero se questa volta sarebbe stato grande.

Sì, e non era possibile che lei sapesse cosa sarebbe successo.

Esatto. Ma le persone nel laboratorio erano molto eccitate. Era un coronavirus, un virus ad RNA con un involucro, come il virus del morbillo, quindi sapevamo come affrontarlo. Avevamo molti sistemi sperimentali in atto che erano applicabili al nuovo virus. Quando alla fine di gennaio è diventato chiaro che SARS-CoV-2 rappresentava una grave minaccia per la salute pubblica, abbiamo iniziato a raccogliere e produrre reagenti per studiarla. Alcuni studenti volevano davvero iniziare subito a lavorarci. A marzo, quando la clinica è stata completamente chiusa tranne che per il lavoro sul nuovo virus, e poi c’è stato il lockdown, la ricerca era completamente dedicata a SARS-CoV-2. Ci è stato permesso di continuare a lavorare perché stavamo preparando la clinica per reagire a questa emergenza sanitaria. Quindi, il virus è arrivato da noi piuttosto che il contrario.

Quanto questo cambio ha influenzato i protocolli in laboratorio?

Non ci sono stati così tanti cambiamenti in laboratorio. Abbiamo dovuto ridedicare una cappa chimica per le procedure di estrazione dell’RNA virale, ma è stato facile per noi perché i virus del morbillo e SARS-CoV-2 sono simili. D’altra parte, abbiamo introdotto turni per ridurre al minimo i contatti, abbiamo iniziato ad indossare sempre la mascherina e spostato riunioni, journal clubs, seminari e ogni riunione accademica o amministrativa su sistemi di comunicazione virtuale.

Potrebbe spiegare in che modo questi virus sono così simili?

Entrambi sono virus respiratori che colpiscono le stesse cellule, quindi avevamo già a disposizione le cellule in cui cresce il virus. E poi sia il morbillo che il SARS-CoV-2 hanno un involucro protettivo e hanno RNA (non il DNA) come materiale genetico, che consente loro di adattarsi rapidamente ai nuovi ospiti. Quindi, le caratteristiche principali dei virus sono tutte uguali. Possiamo usare le stesse tecniche per studiare entrambi i virus.

E avete anche l’esperienza precedente con la SARS nel 2003.

Sì. È piuttosto ironico, ma abbiamo addirittura preso alcuni anticorpi prodotti nel 2003 contro la proteina dell’involucro della SARS (lo “spike”), e non li usavamo da 17 anni, erano congelati. Li abbiamo confrontati con SARS-CoV-2. Poiché SARS e SARS-CoV-2 sono virus molto simili, questi reagenti funzionano.

In che modo è il laboratorio stato influenzato dai fondi e dal tempo disponibili?

Il sistema americano reagisce molto rapidamente. È stato spaventoso ed istruttivo. Per garantire che l’istituzione rimanesse finanziariamente responsabile, a un certo punto gli stipendi del personale sono stati ridotti e alcune borse di ricerca interne sono state congelate. D’altra parte, i fondi sono stati rapidamente resi disponibili per la ricerca mirata sul SARS-CoV-2. Quando ciò è accaduto, avevamo i dati preliminari e il progetto per la richiesta di un finanziamento già abbozzato, quindi abbiamo superato la fase critica senza troppe turbolenze. Ora la situazione finanziaria è molto migliore e i nostri stipendi sono stati ripristinati. Stiamo richiedendo finanziamenti per continuare a lavorare su SARS-CoV-2.

Qual è l’attività principale in laboratorio in questo momento?

Abbiamo una collaborazione molto produttiva con i cardiologi. Il virus può causare problemi al cuore. Alcuni di questi problemi sono dovuti alle cellule immunitarie che si infiltrano nel cuore, ma abbiamo scoperto che il virus è in grado di fondere le cellule del cuore e causare aritmie, provocando un cambiamento del ritmo del cuore, che può essere letale. Quindi questa è una linea di ricerca, su come il virus causa la malattia in un modo diverso dalla classica infezione delle vie respiratorie (*).

Un altro ramo della ricerca studia la variabilità del virus, e se e come questo si adatti a diversi organi.

Se può imparare ad attaccare organi diversi?

Beh, si adatta. Tutti i virus a RNA hanno un sistema integrato per cambiare rapidamente. In ogni genoma che replicano, introducono una manciata di cambiamenti. La maggior parte di questi cambiamenti, o mutazioni, hanno un effetto neutro o negativo nel loro ambiente standard, ma se il virus raggiunge un altro ambiente (un altro organo), alcune delle mutazioni possono avere un effetto favorevole. I virus con queste mutazioni si replicano preferenzialmente e quindi si adattano rapidamente al nuovo ambiente tissutale. Questo è qualcosa che avevamo esplorato e caratterizzato per il virus del morbillo. Si potrebbe presumere che avvenga in modo simile per SARS-CoV-2 perché inizialmente si replica nei polmoni, ma poi crea problemi anche altrove. Alcuni di questi problemi sono dovuti a un sistema immunitario iper-reattivo, ma non tutti. A volte, è davvero il virus che riesce a replicarsi oltre i polmoni.

Qual è la parte più gratificante del suo lavoro?

Probabilmente il fatto che riesco a istruire e formare altri scienziati. All’inizio della tua carriera da ricercatore, vuoi fare scoperte, pubblicare sulle riviste più importanti. Vuoi mettere il tuo nome su qualcosa di rilevante e memorabile. Ma in seguito, è più gratificante vedere come le persone che si sono formate con te si sviluppano, assumono posizioni di responsabilità e conducono un buon lavoro. Sono in comunicazione regolare con almeno la metà dei miei ex membri del gruppo.

Quale mito sulla SARS-CoV-2, o sui virus in generale, le piacerebbe sfatare?

C’è una cosa che semplicemente non arriva al pubblico. C’è una semplice spiegazione del motivo per cui il tasso di ospedalizzazione per SARS-CoV-2 è molto inferiore al tasso di infezione. Il concetto di dose letale. Il punto a cui voglio arrivare è che è davvero importante ridurre al minimo la quantità di virus che ricevi quando vieni infettato. E questo può essere ottenuto indossando le mascherine.

Le mascherine non bloccano il 100% del virus, ma anche se bloccano il 50%, quando tu e un’altra persona indossate la mascherina, la dose infettiva sarà un quarto di quella scambiata tra persone che non la indossano. E se indossi mascherine aderenti all’80%, la dose infettiva è 25 volte inferiore.

È qui che entra in gioco la dose letale. La prima cosa che facciamo quando stabiliamo un modello animale di una malattia è fornire una grande quantità di virus all’ospite. Quindi abbassiamo la dose di un fattore dieci e forse solo l’80 o il 90% degli animali muore. Se diamo 100 volte meno virus, solo il 10 o il 20% degli animali muore, e se andiamo 1000 volte meno nessun animale muore. Questo è un semplice esperimento che è stato fatto per molti virus in diversi organismi modello. Ci sono tutte le ragioni per pensare che lo stesso accada con SARS-CoV-2 negli esseri umani. E alcune persone non lo capiscono. Voglio dire, tutto ciò che fai per contrarre meno virus all’inizio ti aiuterà, e potrebbe portarti dal contrarre una dose letale all’essere infettato con una dose che provocherà un’infezione grave o adirittura un’infezione asintomatica.

È vero, questo effettivamente non è stato discusso dai media.

A volte ne parlo con i miei vicini. E io dico loro questo, ma poi dicono: “Ma perché non se ne parla?” e non lo so. Non lo so davvero.

Mille grazie al Dott. Roberto Cattaneo per averci parlato.

 

(*) Alleghiamo di seguito la pubblicazione più recente del Laboratorio Cattaneo (una prestampa in considerazione in una rivista della famiglia Nature Reasearch) riguardo gli effetti del virus SARS-CoV-2 sui cardiomiociti:

https://www.researchsquare.com/article/rs-95587/v1